All’interno del contratto di locazione vi possono essere clausole che, seppur inserite dalle parti, vengono considerate comunque nulle se contestate davanti ad un giudice, in quanto contrarie alle disposizioni normative di cui principalmente alla legge sull’equo canone (legge 392/78), alla legge 431/98 e alla numerosa giurisprudenza di legittimità e di merito intervenuta sull’argomento.
La sanzione della nullità viene disposta per tutelare principalmente il conduttore in quanto la sua apposizione rischierebbe di agevolare il proprietario creando uno squilibrio contrattuale.
Si considerano pertanto nulle e quindi non derogabili le clausole:
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che stabiliscono una durata contrattuale inferiore al termine minimo stabilito dalla legge ed ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata del contratto. Di conseguenza non è ammissibile prevedere una durata inferiore ai 4 anni + 4 nel caso di contratto libero o di 3 anni + 2 nel caso di contratti a canone concordato. Così viene disposto dall’art.1 della legge 392/78, dall’art. 13 legge 431/1998 e da numerosa giurisprudenza in materia (vedasi in particolare Cass. 21 novembre 2014, n. 24843);
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che stabiliscono un importo del canone di locazione in misura superiore a quello che risulta dal contrattoscritto e registrato (clausola spesso formalizzata da una scrittura privata contestuale alla sottoscrizione del contratto);
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che pongono a carico del conduttore l’obbligo di eliminare le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per il normale uso, una volta terminato il rapporto (Cass. 5 agosto 2002, n. 11703);
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che stabiliscono la risoluzione del contratto per mancato pagamento da parte del conduttore di una sola rata (Cass. 446/2011);
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che prevedono la risoluzione del contratto in caso di alienazione della cosa locata;
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che considerano separatamente l’appartamento concesso in locazione e il box auto, tra i quali sussiste un rapporto di pertinenzialità (art. 13, l. 431/1998) (Cass. 329/1987; Trib. Busto Arsizio, 21 settembre 2011);
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che prevedono un aumento del canone in misura forfettaria ogni anno (è necessario che l’aumento sia legato al meccanismo di aggiornamento Istat);
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che derogano alla facoltà dell’inquilino di dare disdetta in qualsiasi momento, qualora ricorrano gravi motivi e all’obbligo per il proprietario di dare disdetta solo in corrispondenza delle scadenze contrattuali (quindi non può indicare nel contratto che l’immobile deve essere liberato in caso di vendita, per esempio);
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con le quali le parti stabiliscono che le controversie relative alla determinazione del canone siano decise da arbitri (ex art. 54, l. 392/1978).
Inoltre non è ammessa l’istituzione di un rapporto che di fatto è un contratto d’affitto, ma che viene presentato come un accordo verbale che aggira l’obbligo inderogabile della forma scritta e della conseguente registrazione del contratto.
Così come dispone il codice civile, la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
La nullità di singole clausole non comporta la nullità del contratto, quando le clausole nulle siano sostituite di diritto da quanto previsto dalle norme in materia (sostituzione automatica).